lunedì

Rousset e i gulag sovietici

Diario del 24 gennaio 2003
Storia per frammenti
I lager sovietici? «Non esistono»
David Rousset, reduce dai campi nazisti, icona della sinistra francese, nel 1950 denuncia l’orrore dei gulag in Urss. Ma è trotzkista e non gli credono. Tra i critici, Jean-Paul Sartre
di David Bidussa
/.../ in quella mattina di novembre Rousset si trova in tribunale con i suoi vecchi amici di lotta politica, con cui ha condiviso la sua militanza eretica e controcorrente negli anni dello stalinismo trionfante non perché sta accusando l’universo concentrazionario nazista, bensì quello sovietico.
Rousset è un vecchio militante della sinistra socialista nei primi anni Trenta e poi a lungo militante nel movimento trotzkista francese (nel 1934 incontrerà anche il «vecchio» come i giovani trotzkisti chiamavano Trotzkij negli anni dell’esilio, durante i suoi mesi di clandestinità dalle parti di Grenoble).
In quella mattinata di novembre non entra in tribunale per difendere la sua versione dei fatti, ma perché la sua esperienza concentrazionaria lo ha diviso da una parte dei suoi vecchi compagni di sventura. Il problema che egli pone con la sua decisione è il seguente: una volta assunta la memoria della propria tragica esperienza che cosa si fa di quella memoria? Ovvero: la memoria serve a celebrare il proprio passato eroico o costituisce uno strumento per ficcare il proprio «sguardo attento e impietoso» nelle pieghe smagliate anche della propria parte politica? In quell’aula di tribunale in breve si consuma – trasformando quel luogo in un vero palcoscenico teatrale – una scena della guerra intima che la sinistra europea ha a lungo combattuto dentro di sé nel corso del Novecento. Che cosa dunque ha portato Rousset in rotta di collisione con una parte del suo mondo politico e che cosa accade su quel palcoscenico?

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